CRISSOLO (CN), PARCHEGGIO di PIAN DEL RE (2.020 m slm) – RIFUGIO QUINTINO SELLA (2.640 m slm) – MONVISO (3.841 m slm) via CRESTA EST e ritorno via NORMALE – sviluppo compl. 20 Km circa – disliv. compl. 2.200 mt circa – ALPINISTICA (AD)
L’estate è appena cominciata e dopo alcune gite di scaldo (Gran Paradiso, Punta del Rebbio) scommettiamo sul Monviso, nonostante una finestra meteo non del tutto certa fino alla notte precedente l’ascesa: il fatto che all’ultimo si siano liberati 2 posti al Rifugio Sella ci sembra un buon segno, quindi prepariamo tutto il necessario (10-15 Kg di zaino a testa!) e dopo sole tre ore di viaggio in auto raggiungiamo il Parcheggio di Pian del Re (a pagamento, ben 10 € al giorno).
La giornata non è delle migliori, e risalendo verso il Sella non riusciremo mai a vedere la sagoma del Monviso, sempre coperto da nuvole e nebbia, nonostante incomba letteralmente sopra di noi. In compenso la Valle del Po è un luogo veramente ameno, ricchissimo di corsi d’acqua (QUI nasce il Po, come ci ricorda un’iscrizione), laghetti (ne incontreremo almeno tre: il Lago Fiorenza, il Lago Chiaretto e ovviamente il Lago Grande di Viso, accanto al rifugio) e verdissimi pascoli, in questa stagione letteralmente ricoperti dai fiori. Arrivati al Rifugio Quintino Sella, nel weekend affollatissimo (prevalentemente escursionisti, qualche alpinista) abbiamo tutto il tempo di informarci con i gestori circa la nostra Cresta Est: i loro suggerimenti – vedi descrizione della salita – saranno preziosi.
A questo giro la cima – e che cima! – l’abbiamo portata a casa, nonostante non sia stata affatto una passeggiata (vedi Giudizio, alla fine dell’articolo).
Tant’è che, sfiniti, decideremo di fermarci una notte in più in rifugio: ed è stato un bene, perchè affrontare altre tre ore di auto di notte e dopo una giornata sfiancante sarebbe stata una pessima idea e soprattutto perchè il lunedì mattina ci ha regalato alcune ore di sole e cielo terso che ci hanno permesso di godere della discesa verso Pian del Re e del profilo, finalmente nitido e ben visibile, del Re di Pietra visto da valle. E mai nome fu più azzeccato!
Descrizione della salita
Partiamo dal rifugio Sella alle 4:45 dopo una rapida colazione e lasciando lì il materiale non necessario alla salita, in modo da scalare il più leggeri possibile.
Con le frontali riprendiamo il sentiero fatto il giorno precedente che conduce al Colle del Viso, raggiunto il quale abbandoniamo il sentiero dirigendoci sul versante che scende direttamente dalla parete est del Monviso, attraversando orizzontalmente su un terrazzone in mezzo a grossi sfasciumi e seguendo qualche ometto e una traccia appena visibile (indossate il casco: la montagna scarica spesso e volentieri).
Siamo ad inizio stagione e ben presto ci troveremo sulla neve. Ci fermiamo quindi un attimo per inforcare i ramponi e per preparare la cordata in modo da essere più rapidi una volta giunti all’attacco.
Risaliamo quindi il ripido pendio nevoso (45° circa) che conduce verso l’attacco della cresta. Bisogna seguire la direzione dell’evidente canale che sale ripido e stretto in direzione sinistra verso la montagna fino ad incontrare le prime rocce, alla base delle quali si notano i segni gialli e un chiodo con cordino che segnano l’attacco della cresta (quota 2800mt circa).
Si parte con qualche metro di facile ma divertente arrampicata (III) risalendo delle rocce piuttosto gradonate fino ad arrivare su una zona più erbosa.
Da lì si mette un po’ da parte l’arrampicata e si procede seguendo una traccia calpestata e comunque ben segnalata da strisce gialle che risalgono lungo la cresta e superano un primo canalino erboso e un po’ roccioso. Dal terrazzino sovrastante con ometto, si rimonta sempre seguendo il filo di cresta scegliendo la linea più agevole o che più ci piace.
In questa prima parte il percorso è ben segnalato o comunque molto intuitivo. E’ difficile sbagliare. Inoltre le difficoltà sono sempre modeste e raramente si incontrano dei passi oltre il II grado.
Qui vorrei fare un piccolo inciso inserendo un consiglio molto utile che ci è stato dato dalla guida che gestisce il rifugio Sella: se arrivate attorno a quota 3200mt e vi rendete conto che ci avete messo tanto tempo, tornate indietro. Sarà quasi l’ultima possibilità di fuga che avrete dalla cresta est. Dopo inizieranno una serie di passaggi che renderanno la discesa molto complicata se non impossibile quindi attenzione al meteo e alla vostra velocità perché superato questo punto vi attendono almeno altre 3-4 ore di salita e 4-5 ore di discesa (per niente semplice, soprattutto se innevata come l’abbiamo trovata noi), quindi occhio!
Detto questo procediamo.
Noi a 3200mt ci siamo arrivati molto velocemente e senza mai dover proteggere nulla, il tempo è bellissimo e quindi andiamo avanti fiduciosi e tranquilli.
Da qui l’arrampicata diventa più interessante e continua con anche qualche muretto di III grado che rende il tutto più piacevole. Peccato solo che a volte tra un muretto e l’altro si attraversano dei tratti molto sfasciumosi a piedi che creano qualche pericolo, soprattutto se avete cordate alle spalle.
Giunti attorno a quota 3400mt circa si trova una targa metallica che segna l’inizio del torrione Saint Robert ed un cerchio rosso dipinto sulla parete.
Il Saint Robert è facilmente riconoscibile perché è il torrione più grosso di tutta la cresta ed è caratterizzato da un enorme tetto che incombe un centinaio di metri sopra alle nostre teste.
Da qui iniziano i passi più interessanti della via.
Si risale a destra della targa affrontando una serie di diedri fino a raggiungere e superare un diedro molto evidente caratterizzato da della roccia bianca visibile circa alla sua metà (III / III+ con divertente arrampicata). Alla sommità del diedro abbiamo trovato un chiodo con cordone.
Giunti sul terrazzo sovrastante è possibile aggirare la parte finale del torrione uscendo a sinistra su una cengia, scelta consigliata per la maggior parte delle cordate in quanto fa risparmiare tempo prezioso.
Bisogna poi risalire un canale pieno zeppo di detriti per alcune decine di metri fino a riguadagnare della roccia più solida.
Arrivati a questo punto per noi è scoppiato l’inferno: nel giro di pochi istanti il cielo si è oscurato ed è iniziata una bufera di neve durata 15-20 minuti che ci ha creato non poche difficoltà sia dal punto di vista dell’orientamento (qui gli ometti sono rari o inesistenti e la nuvolosità in ogni caso non ci permetteva di vederli) sia nella scalata in quanto la roccia è diventata immediatamente fradicia facendoci godere molto poco quella che in teoria doveva essere la parte più bella della via.
Mi scuso se troverete imprecisioni nella descrizione in questo tratto ma per noi è stato un momento complicato e vi auguro assolutamente di non trovarvi in questo tipo di difficoltà in questa parte della via perché c’è poco da scherzare. Alla cima manca ancora parecchio (2 ore circa) e non ci sono alternative se non quella di salire, nonostante in breve si raggiunga una scritta in giallo sulla roccia che indica la cosiddetta “via della lepre” che in teoria dovrebbe essere una via di fuga che conduce verso la normale.
Ecco…..sappiate che quella via NON VA PRESA per (quasi) nessuna ragione. Ci è stata sconsigliata in modo molto chiaro dalla guida del rifugio e confermiamo la sua analisi dopo aver visto dove passa.
E’ praticamente un suicidio, soprattutto con la neve (noi l’abbiamo trovata così) quindi se anche foste stanchi vi consiglio caldamente di andare oltre e procedere fino in cima.
La linea ufficiale salirebbe alla destra della scritta gialla che indica “la lepre” (chiodo), su una placca molto verticale nella quale ci si può aiutare usando un’evidente lama per la destra.
Noi però non abbiamo visto il cordino metallico indicato da tutte le relazioni e la parete ci sembrava parecchio scoscesa così dopo esserci guardati attorno abbiamo deciso di salire subito a sinistra della scritta dove si supera una placca e poi ci si sposta ulteriormente a sinistra verso il filo di cresta. Si rimonta poi verticalmente e si arriva (crediamo) nello stesso punto che si raggiunge dall’altra parete.
Abbiamo trovato questa parte piuttosto dura (IV sicuramente) in quanto era bagnata e senza nessuna protezione (abbiamo messo un cordino o un friend, non ricordo).
Ad ogni modo siamo usciti e siamo arrivati alla base di un altro torrione.
Qui non c’erano ometti segnavia mentre sulla sinistra si vedeva chiaramente il percorso della via della lepre che usciva sulla cengia esposta di cui sopra.
Eravamo indecisi se seguire a sinistra per sfasciumi per trovare una via di salita più agevole (che non sembrava esserci) o procedere dritti sul torrione.
Alla fine risalendo il torrione per una decina di metri e superato un passo un po’ più difficile abbiamo raggiunto un terrazzino su cui era presente un ometto (a sinistra) e ci siamo quindi tranquillizzati sul fatto di non aver perso la strada. Non vi dico il sospiro di sollievo dopo tutti i casini successi in quella mezz’ora…. 😉
Arrivati al terrazzo con ometto, ci si sposta a sinistra e risalite alcune roccette diventano finalmente visibili in lontananza i bolli e le strisce gialle della via normale
Da qui basta seguire il filo di cresta e le strisce gialle per arrivare entro una ventina di minuti sulla vetta, seguendo l’ultima parte della normale.
Giunti in cima era mezzogiorno ed eravamo davvero molto stanchi. Tempo di due foto, cinque minuti di riposo con un forte vento che batteva dal versante opposto e abbiamo preso subito la via di discesa sapendo bene che sì, ce l’avevamo fatta, ma che non si poteva cantare vittoria fino a valle visto che il meteo poteva cambiare da un momento all’altro (cosa che grazie al cielo, non è accaduta).
Ci teniamo a ringraziare la guida che abbiamo incrociato lungo la parete (di cui non conosciamo il nome, ma che forse ci leggerà…chissà!) per averci segnalato in due o tre punti la strada migliore da percorrere e soprattutto per averci dato un urlo dalla via di discesa dandoci un po’ di tranquillità dopo alcuni momenti non facili.
Ringraziamo inoltre lo staff del rifugio Sella che ci ha dato ottime indicazioni da seguire in un territorio a noi del tutto sconosciuto, oltre ad accoglierci con cordialità, con ottimo cibo e destinandoci una stanza tutta per noi la sera del ritorno, permettendoci di riposare al meglio, russando in pace fino al mattino successivo 😉
Discesa (via Normale)
La discesa è in comune con l’ultima parte della cresta est per una cinquantina di metri fino a quando una freccia gialla su grossa roccia indica di attraversare un canale verso destra portandoci dalla parte opposta lungo una cengia che esce sul versante sud della montagna.
Da qui si seguono i segni gialli sempre piuttosto evidenti che discendono in parte su rocce che vanno affrontate in disarrampicata (passi fino al III grado) e in parte su neve (nel nostro caso MOLTA neve) con tratti di discesa fino a 45° o anche a volte qualcosa di più. Molto utile la picca, se non fondamentale.
Volendo nei punti più difficili sono presenti degli ancoraggi dove è possibile allestire delle calate, ma se non vi sentite in difficoltà è consigliabile procedere in velocità altrimenti la discesa sarà veramente eterna.
Si procede per tratti rocciosi avvicinandosi alla cresta ben evidente alla nostra sinistra (faccia a valle) per poi deviare bruscamente a destra una volta raggiunto il ghiacciaio Sella, che va seguito lungo la sua pendenza sempre in direzione destra fino ad incrociare l’arroccatissimo bivacco Andreotti a quota 3200mt circa.
Dopo altri 50mt di discesa su neve, si devia a sinistra raggiungendo in breve una cengia detritica con segni gialli ed ometti che attraversa verso sinistra (faccia a valle) in direzione della cresta.
Poi si scende di nuovo per nevai stando sul lato sinistro della valle, quasi a ridosso delle pareti e seguendo il profilo di cresta fino alla base del passo delle Sagnette, ben visibile per tutta la discesa e punto più basso della cresta dove è evidente che possa esserci un valico.
Il sentiero rimonta il passo nella parte più a valle e giunti a quel punto si è quasi fuori da tutte le difficoltà.
Manca giusto una mezz’oretta di ferrata su catene di ferro che discende dal passo in direzione sinistra e che permette di abbassarsi fino al termine delle rocce.
A quel punto è possibile prendere una traccia di sentiero che devia sulla sinistra, ben visibile e segnata con ometto, che porta più direttamente verso valle e in direzione del rifugio Sella, raggiungibile in circa mezz’ora di cammino.
Giudizio
Che dire…..per noi il Monviso è stato un sogno che è diventato realtà.
Una grande montagna, ma anche una montagna GRANDE, tosta e arcigna, con pareti scoscese da qualsiasi versante la prendi.
Il prezzo da pagare per la parete est non sono tanto le difficoltà tecniche (piuttosto modeste alla fine), quanto l’elevato impegno fisico richiesto (davvero… bisogna essere molto allenati. E’ lunga e sempre su terreno impervio), le difficoltà nel trovare la strada corretta (la parte alta della cresta non è molto segnata. E’ vero che si può salire più o meno dove si vuole….ma a che prezzo?) e anche l’impossibilità di fare marcia indietro una volta superato il “punto di non ritorno” caratterizzato dal torrione Saint Robert.
Se ti piglia il brutto tempo sono cazzi acidi e il Monviso pare essere una sorta di calamita per le nuvole, in quanto è una vetta isolata tra cime minori.
Davvero una montagna con i fiocchi, ma da affrontare con estrema cautela, con preparazione tecnica per sapersi muovere in velocità senza protezioni, con ottimo allenamento fisico e in condizioni meteo il più possibile perfette.
Il bivacco Andreotti si trova molto in basso e per raggiungerlo è comunque necessario arrivare ad un passo dalla vetta e sobbarcarsi come minimo 2 ore di discesa su terreno infido, quindi va trattata con rispetto.
Credo ce la porteremo per sempre nel cuore anche grazie al fatto che l’abbiamo portata a casa con alcune difficoltà e attraversando un momento di meteo terribile, che se fosse continuato ci avrebbe forse costretti a chiamare i soccorsi.
Meglio magari affrontarla verso fine stagione con poca neve, tenendo però conto del fatto che a quel punto le giornate sono più brevi e potrebbe essere necessario scendere in parte con le frontali.
Sicuramente il messaggio che si trova iscritto su un grosso masso al passo delle Sagnette riassume perfettamente tutti i concetti fin qui descritti, e dice: “la montagna è severa. Sicurezza = vita”.
Da tenere sempre presente in ogni ascensione!
Disclaimer
Attenzione: Le attività che si svolgono in montagna quali alpinismo, arrampicata, scialpinismo, ma anche il semplice escursionismo possono essere potenzialmente pericolose: la valutazione del rischio spetta alla responsabilità di ognuno singolarmente, in base alle proprie condizioni psico-fisiche e alle condizioni ambientali. Relazioni e descrizioni all'interno del blog sono frutto della nostra personale esperienza, possono contenere imprecisioni nonostante la nostra attenzione; le foto e i video possono essere utilizzati esternamente solo a fronte di richiesta e autorizzazione scritta.
Antonio
BRAVI!!!! Complimenti è uno dei miei sogni, lo spero presto.
Antonio
Gabriele Poggi
Grazie Antonio! E’ stata una bella avventura, forse più impegnativa di quanto pensassimo soprattutto a causa del maltempo che ci ha colti a metà strada.
Se vuoi farlo ti consigliamo di scegliere delle giornate di cielo totalmente terso per essere sicuro di non trovarti nei pasticci.
Comunque è un’esperienza bellissima e sono luoghi magici. Da fare assolutamente!
Buone gite!!
Giancarlo
se sul Saint Robert si va a destra si incrociano le vie Gagliardone e le ultime che salgono la via diretta con passaggi fino a 6° B altro che modeste difficolta’..La Gagliardone del 1941 e la variante Bosco-Griva del 1960 la feci da 2° nel 1977…
Gabriele Poggi
Ciao Giancarlo, nell’articolo parliamo di difficoltà modeste riferendoci al percorso normale della Cresta Est, che è quello che abbiamo affrontato noi e descritto.
Per quanto riguarda il Saint Robert, noi non l’abbiamo salito e non conosciamo nemmeno le vie che citi (è molto fuori zona per noi il Monviso e ci siamo stati solo una volta).
Abbiamo però letto che anche per il Saint Robert è possibile arrivare in cima tramite un percorso di IV grado, senza quindi arrivare alle difficoltà da te citate, decisamente più estreme e sicuramente non “modeste”.